mardi 9 mars 2010

I versi degli animali

Versione Nanni Moretti :

Come fa' il miccio ?

Versione Italo Calvino :
Un ricco mercante aveva un figliolo a nome Bobo, sveglio d’ingegno e con una gran voglia d’imparare. Il padre lo affidò a un maestro assai dotto, perché gli insegnasse tutte le lingue. Finiti gli studi, Bobo tornò a casa e una sera passeggiava col padre pel giardino. Su un albero, gridavano i passeri: un cinguettio da assordare. — Questi passeri mi rompono i timpani ogni sera, disse il mercante tappandosi le orecchie. E Bobo: — Volete che vi spieghi cosa stanno dicendo? Il padre lo guardò stupito. — Come vuoi sapere cosa dicono i passeri? Sei forse un indovino? — No, ma il maestro m’ha insegnato il linguaggio di tutti gli animali. — Oh, li ho spesi bene i miei soldi! — disse il padre. — Cosa ha capito quel maestro? Io volevo che t’insegnasse le lingue che parlano gli uomini, non quelle delle bestie! — Le lingue degli animali sono più difficili, e il maestro ha voluto cominciare da quelle. Il cane correva loro incontro abbaiando. E Bobo: — Volete che vi spieghi cosa dice? No! Lasciami in pace col tuo linguaggio da bestie! Poveri soldi miei! Passeggiavano lungo il fossato, e cantavano le rane. — Anche le rane ci mancavano a tenermi allegro... brontolava il padre. — Padre, volete che vi spieghi... cominciò Bobo. — Va’ al diavolo tu e chi t’ha insegnato! E il padre, irato d’aver buttato via i quattrini per educare il figlio, e con l’idea che questa sapienza del linguaggio animale fosse una mala sorte, chiamò due servi e disse loro cosa dovevano fare l’indomani. Alla mattina, Bobo fu svegliato, uno dei servi lo fece montare in carrozza e gli si sedette vicino; l’altro, a cassetta, frustò i cavalli e partirono al galoppo. Bobo non sapeva nulla di quel viaggio, ma vide che il servitore accanto a lui aveva gli occhi tristi e gonfi. — Dove andiamo? — gli chiese. — Perché sei così triste?
Ma il servitore taceva. Allora i cavalli cominciarono a nitrire, e Bobo capi che dicevano: — Triste viaggio è il nostro, portiamo alla morte il padroncino. E l’altro rispondeva: — Crudele è stato l’ordine di suo padre. — Dunque, voi avete l’ordine da mio padre di portarmi a uccidere? — disse Bobo ai servitori. I servitori trasalirono: — Come lo sapete? — chiesero. — Me l’han detto i cavalli, — disse Bobo. — Allora uccidetemi subito. Perché farmi penare aspettando? — Noi non abbiamo cuore di farlo, — dissero i servitori. — Pensiamo al modo di salvarvi. In quella li raggiunse abbaiando il cane, che era corso dietro la carrozza. E Bobo intese che diceva: — Per salvare il mio padroncino darei la mia vita! — Se mio padre è crudele, — disse Bobo, — ci sono pure creature fedeli; voi, miei cari servitori, e questo cane che. si dice pronto a dar la vita per me. — Allora, — dissero i servitori, — uccidiamo il cane, e portiamo il suo cuore al padrone. Voi, padroncino, fuggite. Bobo abbracciò i servi e il cane fedele e se andò alla ventura. Alla sera giunse a una cascina e domandò ricovero ai contadini. Erano seduti a cena, quando dal cortile venne il latrare del cane. Bobo stette ad ascoltare alla finestra, poi, disse: — Fate presto, mandate a letto donne e figli, e voi armatevi fino ai denti e state in guardia. A mezzanotte verrà una masnada di malandrini ad assalirvi. I contadini credevano che gli desse di volta il cervello. — Ma come lo sapete? Chi ve l’ha detto? — L’ho saputo dal cane che latrava per avvertirvi. Povera bestia, se non c’ero io avrebbe sprecato il fiato. Se m’ascoltate, siete salvi.
I contadini, coi fucili, si misero in agguato dietro una siepe. Le mogli e i figli si chiusero in casa. A mezzanotte s’ode un fischio, poi un altro, un altro ancora; poi un muoversi di gente. Dalla siepe uscì una scarica di piombo. I ladri si diedero alla fuga; due restarono secchi nel fango, coi coltelli in mano. A Bobo furono fatte grandi feste, e i contadini volevano si fermasse con loro, ma lui prese commiato, e continuò il suo viaggio. Cammina cammina, a sera arriva a un’altra casa di contadini. È incerto se bussare o non bussare, quando sente un gracidare di rane nel fosso. Sta ad ascoltare; dicevano: — Dài, passami l’ostia! A me! A me! Se non mi lasciate mai l’ostia a me, non gioco più! Tu non la prendi e si rompe! L’abbiamo serbata intera per tanti anni! S’avvicina e guarda: le rane giocavano a palla con un’ostia sacra. Bobo si fece il segno della croce. — Sei anni, sono, ormai, che è qui nel fosso! disse una rana. — Da quando la figlia del contadino fu tentata dal demonio, e invece di far la comunione nascose in tasca l’ostia, e poi ritornando dalla chiesa, la buttò qui nel fosso. Bobo bussò alla casa. L’invitarono a cena. Parlando col contadino, apprese che egli aveva una figlia, malata da sei anni, ma nessun medico sapeva di che malattia, e ormai era in fin di vita. — Sfido! — disse Bobo. — È Dio che la punisce. Sei anni fa ha buttato nel fosso l’ostia sacra. Bisogna cercare quest’ostia, e poi farla comunicare devotamente; allora guarirà. Il contadino trasecolò. — Ma da chi sapete tutte queste cose? — Dalle rane, disse Bobo. Il contadino, pur senza capire, frugò nel fosso, trovò l’ostia, fece comunicare la figlia, e lei guarì. Bobo non sapevano come compensarlo, ma lui non volle niente, prese commiato, e andò via. Un giorno di gran caldo, trovò due uomini che riposavano all’ombra d’un castagno. Si sdraiò accanto a loro e chiese di far loro compagnia. Presero a discorrere: — Dove andate, voi due? — A Roma, andiamo. Non sapete che è morto il Papa e si elegge il Papa nuovo? Intanto, sui rami del castagno venne a posarsi un volo di passeri. — Anche questi passeri stanno andando a Roma, disse Bobo. — E come lo sapete? chiesero quei due. — Capisco il loro linguaggio, disse Bobo. Tese l’orecchio, e poi: — Sapete cosa dicono? — Cosa? — Dicono che sarà eletto Papa uno di noi tre. A quel tempo, per eleggere il Papa si lasciava libera una colomba che volasse nella piazza di San Pietro piena di gente. L’uomo sul cui capo si sarebbe posata la colomba, doveva essere eletto Papa. I tre arrivarono nella piazza gremita e si cacciarono in mezzo alla folla. La colomba volò, volò, e si posò sulla testa di Bobo. In mezzo a canti e grida d’allegrezza fu issato sopra un trono e vestito d’abiti preziosi. S’alzò per benedire e nel silenzio che s’era fatto nella piazza s’udì un grido. Un vecchio era caduto a terra come morto. Accorse il nuovo Papa e nel vecchio riconobbe suo padre. Il rimorso l’aveva ucciso e fece appena in tempo a chiedere perdono al figlio, per spirare poi tra le sue braccia. Bobo gli perdonò, e fu uno dei migliori papi che ebbe mai la Chiesa.

Versione Gianni Rodari :

Il cane che non sapeva abbaiare
C'era una volta un cane che non sapeva abbaiare. Non abbaiava, non miagolava, non muggiva, non nitriva, non sapeva fare nessun verso. Era un cagnetto solitario, chi sa come era capitato in un paese senza cani. Per conto suo non si sarebbe nemmeno accorto che gli mancasse qualcosa. Erano gli altri a farglielo capire. Gli dicevano:

  • Ma tu non abbai?

  • Non saprei... io sono forestiero...

  • Senti che risposta. Non lo sai che i cani abbaiano?

  • A che scopo?

  • Abbaiano perché sono cani. Abbaiano ai vagabondi di passaggio, ai gatti dispettosi, alla luna piena. Abbaiano quando sono contenti, quando sono nervosi, quando sono arrabbiati. Di giorno, per lo più, ma anche di notte.

  • Sarà, ma io...

  • Ma tu, cosa? Tu sei un fenomeno, va là: un giorno o l'altro ti metteranno sul giornale.

    Il cane non sapeva cosa rispondere a queste critiche. Non sapeva abbaiare e non sapeva come fare per imparare.

  • Fa' come me, - gli disse una volta un galletto, che aveva compassione di lui. E lanciò due o tre sonori chicchirichi.

  • Mi sembra difficile, - disse il cagnetto.

  • Macché, è semplicissimo. Ascolta bene, fa' attenzione al moi becco.

  • Insomma, osservami e cerca di imitarmi.

Il galletto fece un altro chicchirichi.

Il cane si provò a fare lo stesso, ma gli uscì di bocca solo un goffo "checché", che mise in fuga le galline spaventate.

  • Fa niente, - disse il galletto, - per la prima volta è anche troppo. Riprova, dài.

Il cagnetto riprovò una volta, due, tre. Riprovò tutti i giorni. Si esercitava di nascosto, dalla mattina alla sera. Qualche volta, per esercitarsi con più libertà, andava nel bosco. Una mattina, mentre stava per l'appunto nel bosco, gli riuscì di fare un chicchirichi così vero, così bello e forte che la volpe lo sentì e pensò tra sé: "Finalmente il gallo è venuto a trovarmi. Correrò a ringraziarlo per la visita..." E difatti si mise a correre, ma non dimenticò di portarsi forchetta, coltello e tovagliolo perché per una volpe non c'è colazione piú appetitosa di un bel galletto. Si può capire come rimase male quando, al posto del gallo, vide il cane che, accucciato sulla propria coda, lanciava uno dopo l'altro quei chicchirichi.

  • Ah, - disse la volpe, - così stanno le cose, mi avevi teso un tranello.

  • Un tranello?

  • Ma certo. Mi hai fatto credere che ci fosse un gallo sperduto nel bosco e ti sei nascosto per acchiapparmi. Meno male che ti ho visto in tempo. Questa, però, è caccia sleale. I cani, di solito, abbaiano per avvertirmi che arrivano i cacciatori.

  • Ti assicuro che io... Ecco, vedi, non pensavo mica alla caccia. Ero venuto per fare esercizi.

  • Esercizi? E di che genere?

  • Mi esercito per imparare ad abbaiare. Ho quasi imparato, senti come lo faccio bene.

E giú un sonorisssimo chicchirichi.

La volpe voleva scoppiare dalle risate. Si rotolava per terra, si teneva la pancia, si mordeva i baffi e la coda. Il nostro cagnetto ne fu tanto mortificato che se ne andò via in silenzio, a muso basso, con le lacrime agli occhi.

C'era, lí vicino, un cúculo. Vede passare il cane, si impietosisce.

  • Che cosa ti hanno fatto?

  • Niente.

  • E allora perché sei tanto triste?

  • Eh... cosí e cosí... perché non riesco ad abbaiare. Nessuno mi insegna.

  • Se è solo per questo, ti insegno io. Ascolta bene come faccio e cerca di fare come me: cucú... cucú... cucú... Hai capito?

  • Mi sembra facile.

  • Facilissimo. Io lo sapevo fare anche da piccolo. Prova: cucú... cucú...

  • Cu... - fece il cane. -Cu...

Provò quel giorno, provò il giorno dopo. In capo a una settimana ci riusciva già abbastanza bene. Era proprio contento e pensava: "Finalmente, finalmente comincio ad abbaiare sul serio. Adesso non potranno piú prendermi in giro".

Proprio in quei giorni si aprí la caccia. Vennero nei boschi molti cacciatori, anche di quelli che sparano a tutto quello che sentono e vedono. Sparerebbero a un usignolo, sparerebbero. Passa un cacciatore di quel tipo lí, sente uscire da un cespuglio cucú... cucú..., punta il fucile e – pam! bang! - lascia partire due colpi.

I pallini, per fortuna, non colpirono il cane. Gli sfiorarono soltanto le orecchie, facendo ziip ziip, come nei fumetti. Il cane, via a gambe. Ma era meravigliato: "Quel cacciatore dev'essere impazzito, se spara anche ai cani che abbaiano..."

Il cacciatore, intanto, cercava l'uccello. Era sicuro di averlo ammazzato.

  • Deve averlo portato via quel cagnaccio, chi sa di dove è saltato fuori – brontolava. E per sfogare la sua rabbia sparò a un topolino che aveva messo la testa fuori dalla sua tana, ma non lo prese.

Il cane correva, correva...


Primo finale

Il cane correva. Capitò in un prato nel quale pascolava tranquillamente una vaccherella.

  • Dove corri?

  • Non so.

  • Allora fermati. Qui c'è dell'ottima erba.

  • Eh, non è l'erba che mi può guarire...

  • Sei malato?

  • Altroché. Non so abbaiare.

  • Ma se è la cosa piú semplice del mondo! Ascolta me: muuh... muuh... muuh... Non è un bel verso?

  • Non c'è male. Però non sono sicuro che sia il verso giusto. Tu sei una mucca...

  • Naturale che sono una mucca.

  • Io no, io sono un cane.

  • Naturale che sei un cane. E con ciò? Niente ti impedisce di imparare il mio linguaggio.

  • Che idea! Che idea! - esclamò il cane.

  • Quale?

  • Quella che mi sta venendo in questo momento. Imparerò i versi di tutti gli animali e mi farò scritturare da un circo equestre. Avrò un successone, diventerò ricco e sposerò la figlia del re. Del re dei cani, s'intende.

  • Bravo, l'hai pensata bella. E allora, al lavoro. Ascolta bene: muuh... muuh... muuh...

  • Muuh... - fece il cane.

Era un cane che non sapeva abbaiare, però aveva molta disposizione per le lingue.


Secondo finale.

Il cane correva correva. Incontrò un contadino.

  • Dove scappi?

  • Non lo so nemmeno io.

  • Allora vieni a casa mia. Ho giusto bisogno di un cane che mi faccia la guardia al pollaio.

  • Io ci verrei, ma vi avviso: non so abbaiare.

  • Meglio. I cani che abbaiano fanno scappare i ladri. Te, invece, non ti sentiranno, si faranno vicini e tu potrai azzannarli, cosí avranno la punizione che si meritano.

  • Ci sto, - disse il cane.

E fu cosí che il cane che non sapeva abbaiare trovò un impiego, una catena e una scodella di zuppa tutti i giorni.


Terzo finale

Il cane correva, correva. A un tratto si fermò. Che strana voce, aveva sentito. Bau bau, faceva. Bau bau.

  • "Questo verso mi dice qualcosa, - pensò il cane, - eppure non riesco a capire che razza di animale sia quello che lo fa.".

  • Bau, bau.

  • "Sarà la giraffa? No, forse il coccodrillo. È un animale feroce, il coccodrillo. Dovrò avvicinarmi con cautela".

Strisciando tra i cespugli il cagnetto si avviò nella direzione da cui giungeva quel bau bau che, chi sa perché, gli faceva battere tanto forte il cuore sotto il pelo.

  • Bau bau.

  • Toh, un altro cane.

Sapete che era proprio il cane di quel cacciatore che poco prima aveva sparato quando aveva sentito cucú.

  • Ciao, cane.

  • Ciao, cane.

  • Mi sai dire che verso stai facendo?

  • Verso? Per tua norma e regola io non faccio versi, io abbiao.

  • Abbai? Tu sai abbaiare?

  • Naturale. Non pretenderai che barrisca come un elefante o che ruggisca come un leone.

  • Allora mi insegni?

  • Non sai abbaiare?

  • No.

  • Ascolta e guarda bene. Si fa cosí: bau, bau...

  • Bau, bau, - disse subito il nostro cagnetto. E tra sé pensava, commosso e felice: "Finalmente ho travato il maestro giusto".

Versione "Lo zecchino d'oro".


Ma poi c'è anche la
Versione di Pietro Diambrini :



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